I mulini del torrente Chiaro

Finalmente, dopo vari tentativi, riesco ad accordarmi con il mio amico Marco per intervistare suo padre, Paolo Bonfini, 90 anni ad agosto, uno degli ultimi mugnai ancora in vita, nel nostro paese e frazioni. Così, in un caldo pomeriggio di luglio, trascorriamo due ore facendo un tuffo nel passato, per parlare di vecchi mulini.

Intanto per cominciare scopriamo che i mulini della zona erano diversi: oltre ai tre presenti nel Torrente Chiaro – riportati sulle mappe IGM – mulino da capo, di mezzo e da piedi, ce n’erano altri due nel fosso di Polesio, uno a ovest di Colle Piccione, l’altro più a monte, di cui ancora restano alcuni ruderi.

Tornando ai mulini del Chiaro, Paolo ci dice che in origine erano tutti di proprietà della famiglia Celani, ossia dei genitori di Giuseppe e Clementina (per i locali conosciuti come Peppe e Mentina, la quale quest’ultima, ebbe poi per parecchi anni un mulino e un forno a Venagrande). Successivamente passarono ad altri proprietari; famiglia Pompili, Paolo Bonfini (l’intervistato appunto) e Pietro Agostini, ai quali appartengono tuttora.

Il mulino da capo e quello di mezzo funzionarono all’incirca fino agli anni 1965-70, meno quello da piedi.

In realtà essi funzionavano quasi esclusivamente durante i mesi invernali poiché, durante l’estate, l’acqua non era sufficiente a farne girare le pale. Tuttavia dopo le piene del fiume richiedevano una continua manutenzione per liberare i canali dai detriti e dalla terra che si accumulava, ostruendo il passaggio dell’acqua.

Vi si macinava un po’ di tutto, granturco, grano, orzo, veccia, cicerchia, ecc., perfino le ghiande, dalla cui farina si ricavava la polenta, dal sapore buono, dice Paolo, ma piuttosto forte. Le ghiande venivano precedentemente selezionate poi curate nell’acqua e infine asciugate all’aria (come si fa con le castagne).

I clienti venivano un po’ da tutte le frazioni e anche dai paesi del venarottese che gravitano sul Torrente Chiaro, mentre quelli di Montadamo andavano per lo più nella zona di Polesio.

Le macine erano ricavate da blocchi di pietra scolpiti a mano, talvolta erano fatte anche di cemento (in tempi più recenti), oppure il cemento veniva usato sui bordi per renderli più lisci. Esse giacevano in posizione orizzontale, sovrapposte l’una all’altra; quella sopra girava sospinta dalle pale e quella sotto era fissa, così le granaglie venivano frantumate tra le due macine.

Le pale che, sotto la spinta dell’acqua, imprimevano il movimento alle macine soprastanti erano fatte di legno, spesso di quercia. Erano modellate a forma di grandi cucchiai che, opponendosi alla spinta dell’acqua, venivano fatti girare dalla corrente.

Dei tre mulini del Chiaro oggi non restano che pochi ruderi. Quello meglio conservato è il mulino da capo cioè quello più a monte dei tre, posizionato all’incirca sotto l’abitato di Villa Pagani. Tra l’altro esso dista non più di duecento metri dal cammino francescano, recentemente tracciato, che collega Ascoli ad Assisi.

Di seguito alcune immagini dei Mulini del torrente Chiaro.

- Particolare delle pale del mulino Angelini, a forma di enormi cucchiai di legno (immagine tratta dal sito internet).
– Particolare delle pale del mulino Angelini, a forma di enormi cucchiai di legno (immagine tratta dal sito internet).
Lo storico mulino della famiglia Angelini in località Piedicava (Acquasanta Terme), ancora perfettamente funzionante (immagine tratta dal sito internet).
Lo storico mulino della famiglia Angelini in località Piedicava (Acquasanta Terme), ancora perfettamente funzionante (immagine tratta dal sito internet)
Ingresso dell’acqua che dall’invaso veniva convogliata verso le pale
Ingresso dell’acqua che dall’invaso veniva convogliata verso le pale
L’imponente muro della paratoia, alto più di 3 metri, ottimamente conservato
L’imponente muro della paratoia, alto più di 3 metri, ottimamente conservato
I ruderi del mulino da capo. A destra i resti del mulino, a sinistra la paratoia dell’invaso ancora quasi integra.
I ruderi del mulino da capo. A destra i resti del mulino, a sinistra la paratoia dell’invaso ancora quasi integra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Testo e foto a cura del Dott. Giorgio Marini

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